Per un approccio territorialista


Parco dei Paduli

Negli ultimi anni sono nati una serie di comitati spontanei per la tutela del territorio, dell’ambiente, del paesaggio, della natura, della salute e della qualità della vita. Tutti questi comitati operano a livello locale e portano avanti una serie di iniziative. 

Il più delle volte si va a contrastare la realizzazione di opere che rappresentano uno scempio, ma c’è da chiedersi: sono singole opere sbagliate all’interno di un sistema socio-economico fondamentalmente valido o è da un quadro di valori sbagliato che scaturiscono progetti devastanti  per il territorio l’ambiente la salute e le comunità umane? E se la seconda ipotesi è corretta possiamo pensare di risolvere il problema agendo soltanto sulle conseguenze di un sistema errato e non anche sulla causa principale?  

Viviamo all’interno di un sistema che ci impone di produrre e consumare, e la maggior parte delle persone prendono per valido questo modello che ci permette di accedere a tanti beni di consumo. Poi al tempo stesso si vuole l’aria pulita, l’ambiente incontaminato, la bellezza del paesaggio, ritmi di vita più umani.

Il sistema ci dice che dobbiamo produrre e consumare sempre di più, questo ci farà diventare sempre più ricchi, ci farà competere nell’economia globalizzata, ci farà uscire dalla crisi e ci saranno sempre più risorse da poter destinare alla salvaguardia dei territori con la creazione di qualche bella oasi naturalistica ….. e tutti vissero felici e contenti.

 Ma la favola che la crescita economica indiscriminata porti vantaggi per tutti, ormai seduce solo gli allocchi.

 Produzione e consumo sono due fasi di un processo più lungo in cui c’è prima di tutto l’estrazione delle materie prime, poi la produzione di merci e l’induzione al consumo, quindi il consumo e infine la produzione di rifiuti.

 Analizziamo una alla volta ognuna di queste fasi.

 L’estrazione di materie prime distrugge i paesaggi, i territori, sventra le montagne, cancella terreni fertili e lascia dietro di sé un paesaggio sconvolto, desolato e inquinato.

 La produzione di merci distrugge altro territorio a causa della costruzione di capannoni industriali in cui la vita degli uomini è assoggettata ai ritmi e ai bisogni della produzione. In questa fase si crea ancora inquinamento con i fumi delle ciminiere che avvelenano l’aria e gli scarti della produzione che contaminano il terreno e le falde.

 Una volta prodotta, la merce deve essere acquistata e siccome di beni ce ne sono in sovrabbondanza rispetto ai bisogni, “il consumatore” viene indotto, attraverso sofisticate strategie di marketing e campagne pubblicitarie, a comprare merci che altrimenti non si sognerebbe di comprare. Pubblicità e marketing alimentano il nostro desiderio di possesso di prodotti inutili

 Quindi le merci vengono spedite nei mercati mondiali e questo produce altro inquinamento per trasporti insensati quando invece, il più delle volte, potrebbero essere consumate negli stessi territori di produzione.

A chiusura del ciclo, siccome si tratta di merci per lo più inutili, dopo qualche settimana vanno a finire in discarica: le statistiche ci dicono che ogni anno in Italia vengono prodotte oltre centomila tonnellate di rifiuti.

 O si modifica questo meccanismo o diventa velleitario pensare di modificare lo stato delle cose contrastando la realizzazione di singoli scempi e per fare questo è necessario uscire dalle scelte dettate dal mercato globalizzato e riportare i territori ad essere centrali nelle scelte economiche, ambientali, sociali. 

 Finora l’approccio della politica al problema dei territori è stato di tipo funzionalista, cioè il territorio è stato considerato uno strumento funzionale alla crescita, il luogo centrale di progettazione sociale ambientale è stato il mercato e non si è mai messo in discussione il primato dell’economia. Il problema dell’ambiente e del territorio sono rimasti marginali rispetto all’obiettivo della crescita.

Ma se vogliamo salvaguardare la nostra salute, l’ambiente, il paesaggio, ritmi di vita più umani,  dobbiamo renderci conto che questo approccio è inadeguato. Pensare che il territorio possa essere soltanto uno strumento della crescita e che alle devastazioni si possa porre rimedio grazie alla tecnologia non porta a nessun risultato concreto e questo è ormai palese agli occhi di tutti.

 Da qualche decennio a questa parte si è imposto all’attenzione generale un approccio di tipo ambientalista che rappresenta un passo in avanti rispetto al precedente. La salvaguardia della natura diventa centrale ma ci si limita a porre delle azioni correttive e marginali al modello precedente, proponendo ambiti musealizzati di natura, ma questo approccio comunque non risolve il problema perché non produce una critica radicale al modello funzionalista.

 Esiste un terzo tipo di approccio di tipo territorialista che fissa la sua attenzione sull’ambiente e sull’uomo e guarda al territorio nelle sue relazioni tra natura, cultura e storia.

In quest’ottica non si può isolare un problema di sostenibilità ambientale senza considerare le relazioni tra sistema socioculturale, sistema economico e sistema naturale.

 I territori devono poter auto sostenersi e devono trarre da se stessi le risorse per auto svilupparsi.

Il territorio ha non solo un’estensione geografica ma anche una sua profondità storica, ma l’analisi storica non deve servire a musealizzare o a realizzare sistemi caricaturali di periodi passati ma deve servire per attingere dalla storia quel sapere che può generare relazioni virtuose tra insediamento umano e ambiente e sganciarsi dal frullato omogeneizzante del mondialismo globalizzato.

 La cura, la ricostruzione e la valorizzazione dei territori richiedono una cittadinanza attiva e devono essere sviluppati dalla società locale che attualmente viene espropriata della possibilità di decidere delle risorse locali, ambientali, ed umane che vengono gestite dal mercato e bruciate nella competizione globale.

 In natura non esiste il territorio, esso è il frutto delle relazioni tra la attività socioeconomiche dell’uomo e l’ambiente che lo circonda.
Nessun territorio deve essere depredato a beneficio di altri e le popolazioni devono affermare una cultura di autogoverno e cura del territorio per sganciarsi da gestioni etero dirette per ricreare quelle omogeneità a livello locale che erano il frutto di saperi, materiali e condizioni economiche e che rendevano un territorio, un paesaggio una cultura diversa e unica rispetto ad ogni altra.

Le scelte umane vanno riterritorializzate.

Tutto questo non può riguardare soltanto le politiche ambientali, ma  deve riguardare la società nel suo complesso nelle sue forme di autogoverno, nei suoi stili abitativi, economici, produttivi e sociali.

Emilio Montagna